Una mattina mi son svegliato: Eboli ciao!

Cosimo Parisi

(Eboli ciao).
Che si parli di lavoro, percorsi di studio, cultura o vacanze, “Eboli ciao” è il saluto che spopola tra gli ebolitani. Problema datato, ma nascosto come polvere sotto il tappeto annualmente, quello della sicurezza, da giorni ormai è divenuto chiacchiericcio caldo su tutte le bocche e le testate giornalistiche locali.


Premesso che, Eboli, non occupa un posto speciale né solitario nella top ten delle città più invivibili della provincia, non possiamo di certo cullarci con la tipica frase: «Eh, ma ovunque è cosi. Dove più e dove meno». L’amministrazione dovrebbe esser capace di favorire azioni volte a creare un nuovo modello di società che possa fare da spartiacque tra chi si culla e chi ha voglia di ritornare ad essere capofila nella conquista di nuova era socio-economica della città.

Foto di Teresa Sparano


Il tempo è scaduto. Smettiamola di perderci quotidianamente nelle disamine dei fatti e nel chiacchiericcio da bar. E’ necessario dare una scossa alle politiche sociali, in cui “sociale” non è sinonimo di assistenzialismo. E’ necessario, per cambiare rotta, un investimento ingente in termini economici, strutturali ed educativi.


In tale ottica è fondamentale il ruolo delle organizzazioni della società civile, primi contenitori di quella cittadinanza attiva che è strumento della coesione sociale. Eboli barcolla in tutti i campi: sanitario, culturale e socio-economico. Le serrande abbassate creano un vuoto incolmabile: meno luci accese, più buio; più buio più degrado incontrollato. Anche Piazza della Repubblica è vuota e buia. Il salotto buono è stato completamente dimenticato, in mezzo alla strada, nel cuore della centro urbano. I ragazzi preferiscono altre piazze che si allargano tra vicoli stretti e bui. Perché?

Le istituzioni hanno il compito di eliminare o, quantomeno contrastare, i fattori di rischio che generano comportamenti scorretti. L’amministrazione proporre modelli che privilegiano prevenzione e responsabilizzazione sociale. La chiave infatti non è solo ed esclusivamente repressione ma è educazione.

La strada della repressione infatti non è perseguibile, almeno non lo è in via definitiva e solitaria: conosciamo bene i limiti entro cui siamo confinati da una carenza di uomini e di mezzi. Finito il periodo dei controlli serrati, necessariamente ridotto nel tempo, spenti i riflettori sul problema perché le «acque si sono calmate», cosa rimane dei blitz, dei posti di blocco, delle perquisizioni?

la città deve capire in quale direzione andare: ci basta una soluzione tampone oppure è possibile, con il tempo e con fatica, ripristinare un ordine duraturo, vero, concreto? Ci vuole coraggio, ma non abbiamo altra scelta. E’ arrivato il momento di investire seria per migliorare i livelli di civiltà e vivibilità dei contesti urbani ed extraurbani.

Puntare sulle giovani generazioni è un atto dovuto. Investire di responsabilità le scuole, le parrocchie, il terzo settore e la stessa politica è necessario. Tracciamo la rotta. Non rassegniamoci a morire, di continuo, dopo il saluto di un altro cittadino che pronuncia per l’ennesima volta l’estremo saluto «Eboli ciao!».


Quindi, l’urgenza è quella che nell’alveo della sicurezza urbana siano rinchiusi numerosi elementi di disciplina, e come detto in precedenza, che abbracci commercianti, associazioni e cittadini.

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